Le
creature erano una specie a sé stante. Ossa privilegiate, ecco cosa erano!
Piras osservò la corda che teneva tra le mani; poteva impiccarsi, farla finita
e chiudere l’affanno. Poteva appendersi al gancio, così come faceva con le
bestie, mettersi a penzolare e pisciarsi addosso a causa del flusso pressorio.
Toccò la superficie ruvida e larga della fune e scosse il viso. Finire uccisi
con le proprie mani non era una gran cosa, che senso aveva avuto allora, stare
tutta la vita a lottare, a pestarsi, se alla fine si restava senza onore? Così
era morto Carlo, ammazzato mentre cercava la fuga, la fine dei topi aveva
fatto! Morto con gli occhi chiusi, preferendo la cecità alla vista della
malasorte.
Non
si toccano le creature, - sospitzzinnos
-. Le creature avevano piccoli arti, piccole braccia ma erano sempre frutto
dell’ira di Dio a seconda della stirpe. L’ira di Dio permetteva la nascita di
quei pezzi di carne che mutavano poi in involucri maligni. Pena bisognava avere
secondo il vivere comune, ma pure Carlo era stato un bambino e nessuno ci aveva
pensato a questo, il miserabile che lo aveva sfigurato non aveva perso tempo a
contare gli anni.
Non
si era fatto domande sulla gioventù. Anche Carlo era una creatura; ventiquattro
anni aveva infatti. Pure lui aveva aperto la mano alla ricerca di cure, e
Marcello da buon padre gliele aveva assicurate in quelle notti gelide e
infantili. Suo figlio era stato pisciato in faccia dalle nubi e fradicio aveva
emesso l’ultimo respiro. Era stato lasciato nudo e solo nella strada aziendale,
lì, dove non cercava altro che il pane.
Anche
se non aveva gli arti corti, sempre un bambino era, negato e battuto. Un Cristo
era stato, mentre cercava riparo in quella notte, con il peso della croce
cadutagli in testa. Gambizzato per subire, per non sfuggire, filamenti recisi,
così come l’identità. Cosa risultava essere l’identità se non il teatro che un
cristiano teneva in piedi durante il vissuto? E di Carlo cosa restava ora se
non una foto di quando era bambino, ridente e giocondo, mentre sedeva sulla
schiena di un cavallo domato. E pure le foto si consumavano, acquisivano il
giallore del tempo e prendevano l’odore promiscuo della muffa. L’onore era
sfuggito a suo figlio quella notte, stando dall’altra parte. L’onore era un
migrante, ballerino, così come la vergogna
Tratto
dal romanzo “Barbarìa” di Pierangela Massaiu, Sa babbaiola Edizioni, anno 2021
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